Lampedusa, la migrazione attraverso l’arte

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Tra le tantissime fotografie scattate nello spazio giovani artisti Asimmetrie, in Via Trieste 39/A, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Lampedusa”, quella che mi ha più colpita ritrae due nostri giovani accolti davanti alle foto dei barconi stipati all’inverosimile nel loro viaggio attraverso il mare fino all’isola siciliana. Stanno osservando il “loro” viaggio. Il “Progetto Lampedusa” è una meditazione sul fenomeno delle migrazioni attraverso l’arte, intesa come pittura, scultura e fotografia; ma è anche una meditazione sulla vita, sul distacco, il viaggio, la sofferenza, i nuovi incontri, la rinascita. L’entusiasmo di Roberto e Jasmine Allegri è stato contagiante. Ci ha immediatamente coinvolti e convinti ad essere al loro fianco con il lavoro di due nostri accolti, Lamin Faty e Ibcee Dare. Lamin racconta il suo viaggio attraverso una sorta di cantastorie figurato; Ibcee ha creato una testa di re africano che dialoga con i re Longobardi, in una sorta di ponte ideale tra il nostro e il loro passato.

L’inaugurazione lo scorso 1 giugno è stata un successo fatto di tantissime persone convenute, emozioni, splendide fotografie (il reportage di Ilaria Vidaletti “Tra cielo e terra” ritrae alcuni dei nostri accolti in scatti che colgono l’anima di ognuno di loro) e soprattutto un momento di coinvolgimento in prima persona dei tanti ragazzi che sono convenuti.

La mostra rimane aperta nei fine settimana fino al 30 giugno.

Qui di seguito le parole di Roberto Allegri nel discorso inaugurale:

“Questo progetto nasce nell’autunno dell’anno scorso quando Francesco Allegri, ispirandosi al famoso ciclo di Boccioni “Stati d’animo” inizia a plasmare nella creta “Quelli che partono”, “Quelli che restano”, “Gli addii”. Se Boccioni si riferisce alla grande migrazione degli italiani all’estero, Francesco si riferisce invece alle migrazioni attuali degli afroasiatici verso l’Italia. Se la locomotiva divideva implacabile la folla alla stazione, Francesco divide addirittura la testa di quelli che partono ed in mezzo ci mette un vaso con sale, acqua e semi di girasole.

Sempre più coinvolto dal tema delle migrazioni dipinge “La danza prima della partenza” ispirato a Derain, plasma “Plegaria muda”e “Il primo passo”e “Lampedusa”, realizza il collage “3 ottobre 2013”, scolpisce nel marmo di Carrara “Il pescatore di Lampedusa”.

Sarebbe diventata una mostra personale come tante altre se non ci fossero stati nel frattempo incontri importanti.

Conosce Lamin Fatty che ha vissuto in prima persona il viaggio dal Gambia a Lampedusa e poi a Brescia. A Lamin piacciono le sculture di Francesco e a Francesco piacciono gli acquarelli di Lamin. Decidono di esporre insieme.

Altro incontro importante è quello con gli infermieri del CISOM che hanno soccorso i migranti nel Mediterraneo dal 2008 a tutt’oggi.

C’era tanto materiale per testimoniare quanto stava accadendo a Lampedusa.

Per la conclusione avevamo pensato ad un passo dell’Apocalisse: “Nuova terra, nuovo cielo”.

Ilaria Vidaletti, fotografa di grande sensibilità ed empatia, si è recata più volte presso l’Asilo Notturno di San Riccardo Pampuri a Brescia per raccogliere testimonianze sulla vita dei migranti dopo Lampedusa. Il risultato è un reportage molto emozionante che ha forti richiami con il passo dell’Apocalisse scelto: una grande armonia pervade gli sguardi delle persone ritratte, il dolore, la sofferenza, la paura, sono passate. Si alternano immagini di spose felici, acqua che disseta, giovani sereni accostati ad una sorprendente immagine di una città che sembra scendere dall’alto realizzata a Roma nella casa di Christian Andersen che già all’inizio del novecento immaginava una città universale.

Il percorso della mostra può essere letto anche come una progressiva rivelazione dell’identità del migrante. All’inizio sono senza volto, come nell’installazione “La mano dello scafista”, poi li vediamo in gruppo sulle barche e gommoni con un effetto corale nelle foto del CISOM, infine vengono ritratti singolarmente con grande sensibilità e profondità. L’arte è un potente antidolorifico, spero che questa mostra sia un piccolo contributo per alleviare le sofferenze e le paure e possa riaccendere la speranza di potersi conoscere, apprezzare, di poter vivere insieme in pace.”

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